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Giunti al Quinto Quarto


E’ uscito, da qualche settimana, in libreria un volume molto interessante: Quinto Quarto; edito da Giunti Editore e gli autori sono: Beat Koelliker e Cornelia Shinharl. Come ben si evince dal titolo, il libro tratta della cucina del quinto quarto, quella cucina popolare romana nei quartieri più poveri, frutto dell’inventiva delle classi indigenti, le quali poco potevano comprare, e poco si potevano permettere se non ciò che la natura metteva loro a disposizione o gli scarti della lavorazione di cibi pregiati come la carne. Il quinto quarto rappresenta quel che resta dopo la macellazione e la divisione delle carni. I bovini macellati vengono, ancora oggi, divisi in quarti due posteriori e due anteriori, dai quali si ricavano tutti i tagli più pregiati, mentre gli ovini divisi in due metà. Tutto quel che resta diventa quinto quarto. Scorrendo le pagine del libro un velo di rammarico avvolge il mio cuore: da gastronomo romano credo che aver lasciato a due autori stranieri, anche se profondi conoscitori della cultura romana, sia stata una riprovevole mancanza; la nostra colpa, mia e di tutti i critici gastronomici romani, è stata una trascuratezza nei confronti di una cultura popolare che diamo per scontata. Mai nessuno ha voluto creare un sistema organico della cucina romana. Cosa che invece il libro offre ad ogni pagina, entrando nel dettaglio dei piatti, andando anche oltre ad un ricettario di preparazioni solo di interiora. Koelliker e Schiharl propongono un quadro approfondito dello stato delle cose della cucina romana, con ricette che raccontano come cucinare anche le verdure oltre che tutte le carni meno nobili. Ma il libro va ben oltre: offre al lettore squarci rappresentativi della cultura gastronomica romana, ritratti di personaggi capaci di ripercorrere la tradizione più antica, testimoni di un mondo che va evolvendosi ma che non vuole rinunciare alla sua storia. Due testimoni di eccezione: Anna Dente e Annibale Mastroddi, la prima cuoca rappresentativa della cucina romana e figlia di macellai, il secondo macellaio storico e custode di una conoscenza popolare unica.


Due ritratti impeccabili, di personaggi capaci di testimoniare con il loro lavoro e la loro dedizione la vera cultura popolare rappresentativa della cucina romana. Il libro intreccia le singole ricette con il racconto e la memoria di questi due personaggi, tessendo un quadro organico di ciò che realmente è la gastronomia della capitale. Le ricette sono suddivise in quattro sezioni: antipasti, primi, secondi e verdure, ricette tramandate dal sapere popolare, spesso anche in disuso non solo nei ristoranti ma anche nelle cucine di famiglia. In qualche ricetta ho trovato dei procedimenti che non condivido, ma questo fa parte di un bagaglio personale, ed è ciò che fa grande la cucina italiana; da noi ogni famiglia crede di essere la custode della ricetta originale, creando così numerose varianti di ogni singola ricetta, una ricchezza unica della cucina italiana. Il libro completa il quadro generale del sistema alimentare romano descrivendo un mercato: quello di Campo de’ Fiori. Il quadro descritto forse è un po' troppo romantico, visto con occhi turistici, incapaci di cogliere le trasformazioni che il tempo ha depositato sui personaggi e sui banchi del mercato, facendo perdere a tutto l’ambiente quel segno distinguibile di romanità. Ma nulla toglie alla validità di questo libro, unico nel saper cogliere il sapore e il sapere della cucina romana.

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